“Raccolta d’antiche memorie domestiche” di casa Franchetti scritte da Rodolfo Mondolfi e inviate nel 1899 a Francesco Pera, autore delle celebri biografie livornesi, come contributo alla conoscenza dello zio Alessandro Franchetti, ed anche, nel 1907, ad Eleonora Uzielli Franchetti (moglie del cugino Augusto Franchetti, figlio di Alessandro) “più autorevole e degna custode” delle tradizioni di casa, come scrive il Mondolfi nella lettera d’accompagnamento. Una biografia d’Alessandro Franchetti (1809-1874)1, dunque, che partendo dai suoi genitori, David e Rosa Tedeschi e tratteggiando i profili dei vari membri di una famiglia allargata, generosamente aperta ad accogliere parenti in difficoltà, giunge, nella “Breve appendice”, a registrare le ultime dolorose vicende di un nipote di Alessandro, Umberto, rimasto vedovo nel 1906, e ancora, nelle note, qualche evento del 1907.
Ma, attorno alla figura di Alessandro, versatile uomo di cultura, giurista, bibliofilo, dantista e conoscitore d’arte, gravitano molti altri personaggi; al di là della storia di un attivo nucleo familiare ebraico, laicizzato e perfettamente inserito nel contesto socio-culturale granducale (e poi italiano), si delinea, per ampi frammenti, anche un’efficace rappresentazione della buona, colta, borghesia toscana di due secoli fa, e non solo di quella. Le ampie digressioni suscitate dal flusso dei ricordi e dalla ricchezza e varietà delle relazioni di una famiglia che si muove nel triangolo Livorno – Pisa – Firenze, introducono nuovi elementi, guardano ad altre realtà. Con pungente ironia vengono evocati, ad esempio, i “volontari martiri della miseria, che per ritrarci dall’amore dei beni mondani santamente muoiono di fame e di pellagra”; e in mezzo a tanti distinti intellettuali che frequentano casa Franchetti trovano spazio, e simpatia, anche figure più modeste come un fedelissimo cameriere “d’intelletto e cultura superiori alla sua condizione”, una bambinaia e una donna di servizio-governante che ha sui bambini “un’autorità quale ora non si può ben intendere”. A testimonianza del “pettegolume” della corte toscana, di una Firenze dove, negli anni trenta dell’Ottocento, tutti si conoscevano, viene invece ricordato lo scalpore suscitato dallo splendido corredo nuziale della sorella di Alessandro che fu mostrato a corte per soddisfare la curiosità della granduchessa.
Nell’insieme, un animato quadro di vita toscana filtrato dallo sguardo non sempre distaccato di un “Compilatore” sessantacinquenne che, sensibile al mutar del gusto, dei costumi e delle città, non sa rinunciare al piacere di confrontare presente e passato disseminando il testo di rapide notazioni personali. Un certo disincanto nei confronti dell’unificazione nazionale emerge, ad esempio, quando, a proposito di lentezze burocratiche, evoca “la solita lentezza che chiamavamo toscana non conoscendo ancora quella italiana”. Della “Nazione”, sulla quale pubblica le sue prime rassegne drammatiche Augusto, figlio di Alessandro, rileva il decadimento da “ palestra di feraci ingegni” a “povero giornale, che pur serba nella presente miseria altero nome d’un glorioso passato”; depreca anche, non se ne stupisca il lettore moderno, la rivalutazione del Botticelli da parte della critica inglese. Altrove è il rimpianto per le casine triangolari che stavano sulle pigne del ponte alle Grazie, o per la semplicità dei vecchi medici toscani, stimati e non “applauditi come attori sulla scena” nel tempo in cui “le cliniche non erano ancora mutate in sale di spettacolo teatrale”. Particolarmente rilevanti, e frequenti, le considerazioni pedagogiche perché, all’esposizione delle idee di Alessandro, sapiente educatore tanto invaghito del sistema francese da mandare il primogenito al liceo imperiale di Marsiglia, si aggiungono le riflessioni personali del Compilatore (che insegna nella scuola ebraica femminile fondata dalla madre). Critico nei confronti dell’educazione femminile di fine Settecento: “falsa educazione del tempo” viene definita quella della madre di Alessandro, e “falso concetto pedagogico” ancora quello che, verso la metà Ottocento, nega la scuola alla sorellina Emma e riduce a cucito e ricamo l’educazione delle giovinette. Con soddisfazione il Mondolfi registra invece i progressi del presente: “ora giustamente predichiamo non solamente scuola, scuola, scuola, ma scuola mista cominciando dalle elementari”.
Testo da leggersi con attenzione, dunque, proprio per cogliere, insieme all’evocazione di fatti e persone storicamente rilevanti, quei “piccoli dettagli veri”, come li avrebbe chiamati Stendhal, che meglio di ogni altra cosa rivelano il senso delle cose e dei tempi, “dettagli” che costituiscono forse la parte più preziosa e interessante di questa cronaca familiare.
Anna Lia Franchetti
1 Nonno del nonno di chi scrive.