Dalla Toscana granducale della famiglia Franchetti all’esito pittorico del suo discendente: Francesco Franchetti
Di Francesca Cagianelli
Rispetto ai più che solleciti studi dedicati anche recentemente alla storia della Comunità Ebraica di Livorno, la scoperta di tale manoscritto viene a costituire una chiave di volta sia metodologica che sostanziale.
Oggi celebriamo infatti non tanto una scoperta inerente allo specifico della cultura ebraica livornese, ma semmai una scoperta destinata ad ampliare le conoscenze della storia nazionale: in quanto, senza ombra di dubbio, il nome Franchetti, e quindi le vicende della famiglia Franchetti, equivalgono senz’altro a coordinate storiche di rilevanza nazionale.
Molteplici sono i motivi di soddisfazione che qui corre l’obbligo di esprimere e mi sarà quindi necessario esporli sotto una duplice veste: innanzitutto come storica, che da tempo dedita all’indagine della famiglia Franchetti e quindi del pittore Francesco, solo grazie alla sollecita disponibilità di Carlo Franchetti e di Piera Adriana Horloch, si è per così dire miracolosamente imbattuta in questo manoscritto, ma ha anche saputo immediatamente coglierne le straordinarie implicazioni culturali in esso racchiuse.
Ad un primo rapidissimo sguardo gettato sul quaderno che fu porto dalla famiglia Franchetti a me e a Dario Matteoni qualche mese addietro, fu chiaro di aver ritrovato una di quelle testimonianze che molti nostri colleghi aspettano un’intera vita di scoprire senza peraltro la benchè minima fortuna.
Ed anche se nell’ambito di tale manoscritto le notizie relative all’artista Francesco Franchetti erano limitate semplicemente all’annuncio della nascita, ci sembrò quasi una precognizione aver potuto godere di una tale fortuna.
Immediata è stata la scelta di procedere alla pubblicazione di questo documento, naturalmente con il caloroso consenso di Carlo e Adriana, e di provvedere all’organizzazione di questa giornata, certi di giovare alla storia degli studi.
Vorrei allora ricordare che non si tratta soltanto di un testo godibile intrinsecamente sotto l’aspetto narrativo, carico di brio e di intelligenza, e non si tratta neppure soltanto di un memoriale, pure prezioso, relativo alle vicende della prestigiosa famiglia Franchetti; si tratta invece – ed è inevitabile leggerlo in questi termini – di un affresco storico di rarissimo pregio testimoniale, dove, a ricordare se pur brevemente i testi di Anna Lia Franchetti e Dario Matteoni – del mio dirò in seguito – corrono accenti personalissimi di storia nazionale, dalla Toscana granducale alle vicende dell’unificazione nazionale.
Notazioni di urbanistica, arte, religioni, costume, pedagogia corrono nel manoscritto a rendere atto di un protagonista di tale storia, Alessandro Franchetti, e di un osservatore privilegiato, Rodolfo Mondolfi, entrambi non soltanto colti, ma anche dotati di una rarissima dote di discernimento: ed è a questo punto che mi piace introdurre quel discrimine adottato dal narratore, Rodolfo Mondolfi, in merito alla vocazione culturale di Alessandro Franchetti: tra “erudizione” e viva dottrina”.
Grazie a tale discrimine acquistano una suggestione senz’altro più gradita le innumerevoli notazioni in questione disseminate nel manoscritto: non notazioni dovute semplicemente ad un’erudizione priva di alcun sapore, ma esito di una consapevolezza di giudizio che a molti dovrebbe fare invidia.
Solo grazie alla “viva dottrina” di Alessandro Franchetti, filtrata da Rodolfo Mondolfi, siamo quindi in grado di apprezzare come acutamente rivela nel suo testo introduttivo Anna Lia Franchetti, le non convenzionali sentenze intorno alla fortuna illustrativa del Poema, non ultimo quella assimilabile agli episodi di Gustave Dorè e addirittura di Sandro Botticelli: “Oltre la poca intelligenza della Commedia nocque al Dorè – si legge nel manoscritto – la pretesa di dare alle sue figure troppo ampi sfondi rappresentanti i luoghi d’inferno e del Purgatorio, i quali, oltre che per la vastità mal si prestano ad essa figurati in disegni, che non sieno puramente schematici, richiedono un accurato studio del testo, che mancò all’artista francese, come agli antichi miniatori dei codici danteschi, ed anche a Sandro Botticelli, notevolissimo pittore, che senza sua colpa ha fatto perder la testa al numeroso gregge de’ nostri artisti e critici, per una di quelle ubriacature, per cui andrà famoso il nostro tempo, ubriacatura già da molti anni venutaci dall’Inghilterra. Ma comunque si voglia giudicar del Botticelli come pittore, non credo che gran valore possa attribuirsi ai suoi numerosi schizzi a penna diretti ad illustrare il gran Poema, sul quale non è a dire che il povero Sandro non affaticasse la mente; ma con quanto profitto giudichi chi sa e può giudicare”.
E’ valsa la pena, io credo, esemplificare con questa breve citazione uno degli atti più graffianti del canovaccio culturale dispiegato in questo manoscritto che viene a profilarsi – ed è qui che prendo a parlare del mio contributo, come un serbatoio a dir poco esclusivo di straordinari inediti storico-artistici: il dantismo infatti non è l’unico impegno culturale di Alessandro Franchetti, ma ad esso si affianca una statura di collezionista e mecenate che per la prima volta nella storia degli studi è suffragata da testimonianze così circostanziate: la visita allo studio di Antonio Ciseri proprio all’epoca della realizzazione del capolavoro del Martirio dei Maccabei risulta una testimonianza per così dire esplosiva, vista la sconfinata bibliografia inerente a tale capolavoro.
E a tale proposito devo aggiungere che un’ennesima fortuna mi ha soccorso nell’attribuzione a Celestina Marini Franchetti, moglie di Alessandro e intima amica di Antonio Ciseri, di alcuni felicissimi disegni ritrovati grazie alla generosa disponibilità di Enzo Rossi.
Né possono considerarsi di minor importanza gli accenni al Concorso Ricasoli, ivi compresi le visite agli studi degli artisti, le vicende della realizzazione dei bozzetti, gli aneddoti riguardo ad un’illustre committenza senza escludere preziose rivelazioni riguardo alla realtà delle quotazioni delle opere d’arte, nonché ai loro esiti commerciali.
La notizia della familiarità che lega poi alla famiglia Franchetti la fulgida personalità del critico d’arte Diego Martelli, tramite la moglie Ernesta Mocenni, consente di acquisire uno straordinario inedito anche rispetto al mastodontico volume dedicato al critico nel 1996.
E per l’appunto, venendo a completare il quadro delle novità offertoci da questo manoscritto, mi è impossibile non accennare alle notizie intorno alla configurazione del salotto Franchetti, così magistralmente coordinato da Alessandro, che viene addiriuttura a porsi quale centro di aggregazione privilegiato per il circuito artistico diretto dallo stesso Diego Martelli, circuito che vedeva protagonista tra le altre, la prestigiosa famiglia Uzielli: bene, è proprio all’intreccio tra la famiglia Franchetti e il ceppo Uzielli che deve ascriversi, secondo le coordinate ricostruibili tra le righe del manoscritto, quello straordinario quanto suggestivo innesto in Toscana, più esattamente tra Livorno, Pisa e Firenze, ma non soltanto, della stagione preraffaellita sulla generazione macchiaiola.
A conferma poi di come nuovi documenti consentano una rilettura più veritiera di fatti solo apparentemente indagati e sistematizzati, si dovrà quindi procedere a rileggere con maggiore complessità la vicenda macchiaiola in Toscana e a delineare con maggiore esattezza e rigore quel panorama della pittura del vero che in effetti si intreccia più strettamente di quanto non si sia creduto finora con le brezze dell’ideale.
Ma passo ora, e mi avvio a concludere, al secondo motivo di soddisfazione che coincide con il mio ruolo di questa sera, ovvero la presidenza di un’Associazione Culturale, quella di Archivi e Eventi, che è nata a tutti gli effetti per indagare aspetti inediti della cultura figurativa, letteraria, musicale e storica della città di Livorno tra Ottocento e Novecento.
Questo manoscritto ritrovato è stato per la nostra Associazione un’opportunità insostituibile per dimostrare quanto l’intuizione di un progetto culturale che traesse le principali ragioni dall’indagine di archivi dimenticati o ancor meglio sondati in maniera superficiale, fosse a tutti gli effetti un’intuizione di estrema concretezza e attualità.
Tutto sembra infatti confermarci oggi che le occasioni culturali più significative sono quelle offerte non tanto dall’ufficialità e dalla convenzionalità degli studi, quanto invece da una sensibile elaborazione di occasioni spesso di difficile accesso ma di sicura soddisfazione.
Concludo annunciando che questa pubblicazione costituisce il secondo impegno ufficiale dell’Associazione Archivi e Eventi e anticipa il prossimo appuntamento, in questa stessa sede, in coincidenza con l’ottobre prossimo, che porterà alla riscoperta di Francesco Franchetti, il singolare e geniale discendente della famiglia Franchetti, coltissimo interprete proprio di quella cultura di transizione dalla macchia alle novità del Preraffaellismo, che della sua origine ebraica trattenne quanto bastava per coltivare la curiosità di itinerari seducenti tra Livorno, Firenze e la Tunisia, e della sua arte fece un’occasione di indagine della luce e dei colori africani.