Dopo la furia demolitrice miglioriamo almeno il progetto

DARIO MATTEONI

Livorno. La notizia apparsa in questi giorni riguardante il momentaneo stop alla trasformazione del cinema Odeon, un esempio di architettura cinematografica tra i più importanti della storia dell’architettura italiana del secondo dopoguerra, potrebbe far supporre un opportuno ripensamento di quello che a giudizio di molti, in prima linea Vittorio Sgarbi, appare un incomprensibile scempio ai danni del patrimonio architettonico nazionale.

Sappiamo infatti che di questo edificio, secondo una concezione del principio di conservazione e di tutela a dir poco singolare, dovrebbe rimanere unicamente il foyer dalle eleganti forme classicheggianti. Davvero incomprensibile appare la furia demolitrice rivolta verso l’opera del grande scenografo futurista, il livornese Virgilio Marchi, tanto più incomprensibile perché sostenuta da un’iniziativa di natura pubblica (Spil è partecipata in maniera determinante dal Comune di Livorno) che in tale sciagurata vicenda avrebbe dovuto dimostrare ben altra attenzione e sensibilità verso un’ipotesi di conservazione complessiva del manufatto.

Disturba, tanto sotto il profilo culturale, quanto in rapporto ad un sacrosanto senso di responsabilità civile, che di fronte a tale icona dell’architettura cinematrografica non si sia percorsa nessun’altra ipotesi di riuso se non quella della demolizione e quindi della sostituzione con un anonimo garage, in evidente controtendenza con quanto ormai accade in molti paesi europei nei quali, con ben altra consapevolezza urbanistica e vitalità progettuale, si affronta la questione della riconversione delle architetture del recente passato storico. Il cinema Odeon, questo è un dato di fatto, oggi non esiste più se non nei disegni di Virgilio Marchi.

Le dichiarazioni che oggi leggiamo in realtà non indicano alcuna inversione nel percorso intrapreso, tutto sembra anzi ridursi al miglioramento delle vie di accesso: ben altra capacità progettuale avrebbe dovuto e dovrebbe animare le istituzioni cittadine.

Appare infatti evidente anche all’osservatore meno attento che la futura costruzione che siprefigura in una delle zone più delicate del centro storico dovrebbe presentarsi sul piano della foggia architettonica come non invasiva e capace di influire positivamente sulle condizione di abitabilità di questa parte di città. Tale riflessione di semplice buon senso avrebbe forse dovuto imporre scelte più meditate

E allora perché non prefigurare un scenario affatto nuovo che, proprio per la natura pubblica del soggetto attuatore, potrebbe essere perseguito con maggiore lungimiranza? La delicatezza del luogo, carico di memorie storiche, la presenza ancora viva di un’architettura così prestigiosa, come il vecchio cinema, imporrebbero infatti un nuovo percorso di progettazione e forse anche una maggiore levatura culturale nelle ipotesi di riuso.

E se nessuno, almeno così sembra, ha ormai la moralità per mettere in discussione l’ipotesi del garage, sulla quale presumiano si sia fondata, in termini di redditività, l’operazione economica della Società livornese che si è sostituita a tutti gli effetti al soggetto privato, si abbia almeno il coraggio di fermare un anonimo progetto e di aprire una competizione internazionale (valga l’esempio di città a noi vicine), così da sollecitare nuove proposte progettuali e più legittime ipotesi di destinazione, rispettose di quell’idea di cultura architettonica che il manufatto di Virgilio Marchi ancora oggi ispira.

Non aggiungiamo a questa ormai innegabile sconfitta della cultura nella città di Livorno, un altro equivoco sull’effettiva incapacità delle istituzioni cittadine di promuovere un’idea adeguata di città europea.

E se l’innovazione della politica non è in grado di tradursi in scelte architettoniche e urbanistiche informate ai criteri di qualità e modernità, rimane solo come nomenklatura.

Dario Matteoni

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