Un marchio per l’Estate Livornese

aprile 25, 2008

FRANCESCA CAGIANELLI
Nel 1901 il livornese Leonetto Cappiello, affichiste tra i più noti nel mondo, interprete geniale della nuova arte pubblicitaria, disegnava il manifesto per l’estate livornese di quell’anno.

Nel manifesto di Cappiello, che si è voluto esporre quale icona dell’internazionalità labronica, nella mostra dedicata alla Belle Epoque che si svolge in questi mesi al Palazzo Roverella di Rovigo, tutto è affidato alla forza del segno e del colore, nulla è descritto, ma la comunicazione scaturisce con immediatezza attraverso suggestive allusioni: il mare è evocato dall’azzurro del fondo, il sole dal giallo delle lanterne cinesi, l’atmosfera festiva dal passo danzante della giovane donna.

Ritroviamo qui evocati con impareggiabile suggestione gli straordinari eventi di una prestigiosa Belle Epoque tutta labronica: appuntamenti balneari, rendez-vous sportivi, mondanità internazionale, balli popolari eventi espositivi e manifestazioni teatrali.

Il manifesto di Leonetto Cappiello ben rappresenta le potenzialità comunicative della nuova arte della pubblicità: la sua audacia linguistica, la sua geniale sinteticità risultano facilmente decodificabili, leggibili con segni noti, universalmente comprensibili, tali da suggerire lo spirito del luogo, in questo caso la Livorno di inizio Novecento.

Si tratta perciò di un prodotto perfettamente corrispondente alle fantasmagorie di un’estate di divertimenti e di novità, quale certamente si poteva vivere nel 1901, capace di rappresentare agli occhi dello spettatore la modernità e il fascino del luogo.

È difficile non rimpiangere l’affiche di Cappiello di fronte alla proposta che l’attuale amministrazione sciorina oggi, così come si legge nell’articolo apparso sul Tirreno del 23 aprile 2008 – proposta che si riduce “un segno che faccia pensare al classico dé livornese ma anche ad altre caratteristiche della città”: una domanda nasce spontanea: ma quali, davvero strategiche e attuali per l’immagine futura della città?

Leggi il seguito di questo post »

Pubblicità

Francesco Franchetti

giugno 15, 2007

Dalla Toscana granducale della famiglia Franchetti all’esito pittorico del suo discendente: Francesco Franchetti

Di Francesca Cagianelli

Rispetto ai più che solleciti studi dedicati anche recentemente alla storia della Comunità Ebraica di Livorno, la scoperta di tale manoscritto viene a costituire una chiave di volta sia metodologica che sostanziale.

Oggi celebriamo infatti non tanto una scoperta inerente allo specifico della cultura ebraica livornese, ma semmai una scoperta destinata ad ampliare le conoscenze della storia nazionale: in quanto, senza ombra di dubbio, il nome Franchetti, e quindi le vicende della famiglia Franchetti, equivalgono senz’altro a coordinate storiche di rilevanza nazionale.

Molteplici sono i motivi di soddisfazione che qui corre l’obbligo di esprimere e mi sarà quindi necessario esporli sotto una duplice veste: innanzitutto come storica, che da tempo dedita all’indagine della famiglia Franchetti e quindi del pittore Francesco, solo grazie alla sollecita disponibilità di Carlo Franchetti e di Piera Adriana Horloch, si è per così dire miracolosamente imbattuta in questo manoscritto, ma ha anche saputo immediatamente coglierne le straordinarie implicazioni culturali in esso racchiuse.

Leggi il seguito di questo post »


Politica, musica, lettere ed arti a Livorno attraverso il Famedio

giugno 8, 2007

Conferenza di Francesca Cagianelli

Famedio di Montenero, Sabato 8 giugno 2007

famedio_montenero_icona.jpgLa stagione ottocentesca a Livorno, coniugata come vedremo, secondo ardori risorgimentali e intuizioni veriste, corre dal furor guerraziano alla parabola innanzitutto morale di Giovanni Fattori, traendo la sua preistoria proprio dai destini di Paolo Emilio Demi.

L’abbattimento del Leopoldo II di quest’ultimo, vera “statua-destino” – come la definirà nel 1933 Gino Saviotti su “Liburni Civitas” – citata tra l’altro proprio in una lettera di Fattori a Leopoldo Cipriani del 1849 – segna a Livorno uno dei più epocali spartiacque artistici e insieme politici, che verrà a coincidere per lo scultore con una parabola critica di resurrezione, a partire dal numero unico edito da Belforte nel 1898, proseguendo quindi con la nota summa Livorno nell’Ottocento di Guido Menasci, e culminante con gli assunti di Ugo Ojetti che nel 1920, sul “Corriere della Sera”, celebrava la Madre Educatrice nei termini di: “tra le più belle e pure e umane sculture del secolo scorso, non in Italia soltanto”.

Motivo chiave di tale rivalutazione diveniva un’accertata vocazione romantica, contigua a quella di Lorenzo Bartolini, di contro a chi – in sede critica – preferiva attardarsi su quel presunto neoclassicismo finora ribadito da ogni parte.

Leggi il seguito di questo post »


Nel campo culturale tanto coraggio e non paura di sparire

aprile 28, 2007

di Francesca Cagianelli

Desiderosi di contribuire all’evoluzione del dibattito culturale non solo cittadino, siamo dell’avviso che sempre più urgente sia la determinazione a chiarire definitivamente le ragioni di certi fenomeni.

Tante associazioni sono nate e tante nasceranno in nome di una malintesa accezione della cultura artistica che finora è restata, ahimè, sprovvista di quel corredo di specializzazione che resta necessario per evitare le secche della dabbenaggine.

Il nostro ruolo non è d’altra parte quello di censire tale indiscriminato rigoglio, quanto di porci senza esitazioni in una prospettiva di qualità dell’offerta culturale.

Solo la storia – e non dovrebbe trattarsi, mi auguro, di molti anni – sarà in grado di vagliare l’utilità del contributo offerto da tali associazioni all’evoluzione del dibattito culturale, al di là di vaniloqui del tutto autoreferenziali e di crasse stizze municipalistiche.

Di certo è da pensare che è proprio l’“insostenibile” paura di sparire che muove qualcuno a voler evitare il giudizio della storia: che è poi l’incapacità di ammettere la propria estraneità a quella categoria di storici dell’arte che possano procedere con impostazione filologica e ampiezza di coordinate critiche alla rivalutazione degli artisti labronici, ma non soltanto.

Leggi il seguito di questo post »


La professione del critico d’arte

aprile 28, 2007

e il progetto di un osservatorio culturale al servizio della comunità cittadina

Di Francesca Cagianelli

Certo rigoglio, spesso anche eccessivo, di pubblicazioni artistiche da una parte e iniziative espositive dall’altra a Livorno, ma non soltanto, mi conforta nell’avviare una riflessione sulla mancanza di un’effettiva regolamentazione delle questioni inerenti il settore dei beni culturali e, di conseguenza, una sostanziale disarticolazione dei risvolti commerciali.

Già nel 2002 Fabrizio Lemme imputava alla natura del nostro ordinamento giuridico la pressochè totale assenza di leggi inerenti alla professione di critico d’arte e la conseguente assunzione della responsabilità di expertises da parte di chiunque, senza escludere neppure il proprio portiere o l’operatore ecologico.

Lo sdegno di Lemme si appuntava comunque su due questioni specifiche: la prima – e cito testualmente: “non basta esser figlio, coniuge, nipote o addirittura, come nel caso di Modigliani, genero dell’artista, per accampare una sorta di diritto di esclusiva in riferimento alle opere di un’artista scomparso (…)”.

Leggi il seguito di questo post »


Mario Ferretti

gennaio 8, 2007

La svolta metafisica dalla Vetreria di Beppe Guzzi alle Sindacali livornesi

Di Francesca Cagianelli

Battezzato da Filippo Tommasi Marinetti in coincidenza con la “parentesi della sezione artistica in vetreria nel 1937, dove (…) fu assunto insieme allo scrivente (Voltolino Fontani), a Sircana e al povero Giannoni, per eseguire vetrate artistiche in seta di vetro colorato, ideate da Beppe Guzzi”, Mario Ferretti si impone fin dagli esordi in ambito livornese in virtù di un’“inventiva addirittura vulcanica”.

In effetti Mario Ferretti, nato a Livorno nel 1915, allievo della Scuola d’Arte di Beppe Guzzi, della Scuola Libera di Nudo di Firenze e del corso d’Arte Decorativa a Livorno, esordisce fin dagli anni Trenta con le stigmate di un novecentista, curioso delle novità sironiane e pirandelliane.

Presente alla “II Mostra d’Arte dell’Opera Nazionale Balilla” allestita nelle sale di “Bottega d’Arte” di Livorno nel 1932, con opere quali Agli archi, In Venezia, Verso i monti, Casa rustica, Temporale, Ruscello, Ferretti sembra in effetti a questa data ancora lontano da una indiscussa fede novecentista, se è vero che Bianca Flury Nencini si interroga in catalogo sulle ragioni di un mancato novecentismo tra le fila dei giovani espositori.

La “VI Mostra Sindacale” Livornese del 1934-1935, presieduta da una Commissione composta da Plinio Nomellini, Augusto Gardelli, Giovanni March, Cesare Tarrini, Giovanni Zannacchini, sanciva comunque il consolidamento di una compagine novecentesca nell’ambito delle nuove generazioni artistiche livornesi, che contava su personalità del genere di Giulio Allori, Silvio Bicchi, Laura Bedarida, Mario Borgiotti, Mario Cocchi, Alfredo Giannoni, Guido Guidi, Giulio Guiggi, Beppe Guzzi, Giovanni March, Cesare Tarrini, Ghigo Tommasi, Dino Uberti, Giovanni Zannacchini, e contemporaneamente attestava una stagione evolutiva, in direzione di una sempre più marcata inflessione plastica, per artisti di estrazione più tradizionale, quali Eugenio Carraresi, Carlo Domenici, Cafiero Filippelli, Giulio Ghelarducci, Giovanni Lomi, Renato Natali, Plinio Nomellini, Vittorio Nomellini, Gino Romiti.

Leggi il seguito di questo post »