Le Terme della Salute di Livorno

aprile 28, 2007

Cinquanta anni di scempi ed errori
Di Dario Matteoni

Livorno. Un recente cartellone, dalla grafica quasi accattivante, accoglie ‘l’ignaro’ visitatore che dalla superstrada, superato il nuovo centro commerciale, si dirige verso il centro di Livorno. Al nostro viaggiatore appaiono le immagini scelte come testimonianze della città: la grande cisterna di Pasquale Poccianti e il Mercato generale di Angiolo Badaloni e, di certo attirato dalla monumentalità di queste opere di evidente modernità, non può non essere a questo punto sollecitato da un’immediata curiosità. Non ha appena incontrato nel suo percorso, proprio alle soglie della città, a pochi metri da quel cartellone, un edificio che, pur ridotto allo stato di rovina, comunica ancora l’eleganza delle sue architetture e delle sue decorazioni?

L’interrogativo diventa più struggente quando il nostro turista, forse memore della lettura ancora fresca di qualche guida, ricorda che l’edificio che forse in maniera più efficace di qualsiasi cartellone lo ha accolto al suo arrivo a Livorno è uno dei capolavori della stagione Liberty in Toscana, le Terme della Salute, opera dello stesso architetto del mercato generale, Angiolo Badaloni.

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Matteoni all’attacco. Alt a questa operazione

aprile 11, 2007

Sul complesso liberty l’attuale impostazione rinnega quella del Prg e non convince affatto

di Dario Matteoni

Livorno. Le valutazioni, ben prevedibili e di sapore decisamente ‘passato’, che l’assessore Picchi ha riservato alle considerazioni da me svolte sulle pagine di questo giornale in merito alla delicata questione del restauro delle Terme della Salute, rivelano una sostanziale fragilità di ragionamento, soprattutto per la concitazione, che lascia intravedere un pizzico di personalismo. Di qui la decisione di ritornare nuovamente sulla questione.

Non è certo mia intenzione dilungarmi sull’annosa questione della coerenza delle proprie posizioni assunte anche nel ruolo di responsabilità amministrativa, coerenza, come è noto, a me sempre cara. D’altra parte Picchi, leggo dalla citazione delle sue dichiarazioni, ha rivendicato “la continuità del governo cittadino, dal dopoguerra ad oggi” e certo non posso che prendere atto di tale assunzione di responsabilità.

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Franchetti Mondolfi 1906. Introduzione di Dario Matteoni

dicembre 10, 2006

Nelle note che Rodolfo Mondolfi scrive in margine al testo inviato a Francesco Pera e da questo pubblicato parzialmente nella quarta serie delle Biografie livornesi, compaiono alcune brevi notazioni sulla Livorno della metà dell’800. E’ questo un interessante e raro documento che restituisce i luoghi di origine e di vita, i punti di riferimento nella città di Livorno di una famiglia ebraica. Non vogliamo qui certo sopravvalutare le rapide notazioni del Mondolfi: tuttavia questo testo suggerisce, seppur per brevi accenni, le possibili intersezioni tra pratiche di vita sociale e organizzazione fisica della città. Il dato appare particolarmente significativo se consideriamo che proprio in quel torno di tempo Livorno subisce una notevole accellerazione demografica e un altrettanto considerevole sviluppo edilizio. Il primo dato che offre Rodolfo Mondolfi, nella nota dedicata alla nonna Rosa Tedeschi, moglie di Alessandro, vero protagonista del racconto biografico, definisce l’intorno delle relazioni sociali. Nata Tedeschi ella appartiene ad una famiglia “legata di stretta parentela e d’amicizia anche più stretta con i Mortera e con gli Aghib, famiglie tutte e tre delle più cospicue fra gl’Israeliti di Livorno”.

I luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza definiscono i contenuti dello spazio urbano nel quale si svolgerà la vita di Rosa. “Nata anch’essa, come i fratelli a Livorno, in Via Serristori, presso alla Pallacorda, passò giovanetta, bambina forse, nella casa di Via dell’Angiolo, passato il pontino, rimpetto alla Fortezza nuova, sopra il banco primamente Franchetti (siccome io credo) poi Cesana e Fernandez, poi Moisè Fernandez Franco ed ultimamente Enriques e Franchetti”.

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Piazza Guerrazzi e i bunker, un’altra occasione mancata

settembre 5, 2005

Livorno. La replica, davvero paludata, che l’assessore Bruno Picchi dedica alla Piazza Guerrazzi merita qualche breve notazione a margine. Partiamo dalla questione dei due famigerati “bunker”, così come ormai sono noti nell’immaginario collettivo: difficilmente, anche se mascherati con pietre di minor o maggior pregio, ricorrendo cioè ad un succedaneo di nessuna creatività o razionalità, questi assumeranno la dignità di un segno di architettura. E a questo proposito, risulta perlomeno bizzarro che la Società titolare della realizzazione del parcheggio si appelli, quasi a voler giustificare l’indifendibile intervento livornese, alla tipologia delle analoghe costruzioni realizzate per la piazza Ghiberti di Firenze, fingendo di dimenticare o forse non comprendendo affatto il ben diverso contesto di una piazza inserita nel monumentale sistema dei grandi boulevards concepiti da Giuseppe Poggi che ancora oggi circondano la città in analogia con quanto accadeva nelle grandi capitali europee della fine dell’Ottocento.

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Osvaldo Peruzzi: un navigatore della modernità

dicembre 31, 2004

La folgorazione arriva grazie all’incontro con Marinetti.
Un navigatore della modernità.
Gli studi a Milano. Poi l’intero percorso è tutto livornese.
Fino alla grande mostra al museo «Fattori»
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Nel saggio introduttivo che Enrico Crispolti scrisse in occasione della mostra che il Museo Giovanni Fattori di Villa Mimbelli ha dedicato all’attività di Osvaldo Peruzzi una definizione appare particolarmente calzante alla personalità dell’artista: “un navigatore della modernità” in un filo continuo che dagli anni Trenta, segnati dall’adesione al Futurismo e dall’incontro con Marinetti, si dipana con “coerente continuità” fino agli anni Settanta e Ottanta, non meno fervidi e attivi, anziché improntati a un nostalgico revivalismo animati piuttosto da una forte partecipazione ai temi cruciali del nuovo momento storico.

Ancora un altro aspetto occore ricordare di questa lunga vicenda artistica, vissuta da Peruzzi interamente a Livorno, defilato da situazioni di più facile notorietà e tuttavia in grado di costruire, con coerenza non scontata, una propria presenza futurista ben oltre i confini della stessa area toscana. E questo appare ben evidente anche nella stessa evoluzione della sua ricerca pittorica, non interrotta dalla drammatica esperienza bellica, anzi ripresa con rinnovato slancio, ben al di là dell’avanguardia storica del Futurismo, senza tuttavia negarne il bagaglio strumentale e mantenendo la sua personale inclinazione verso un linguaggio teso ad una astrazione formale di consapevole sintesi.

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